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La pratolina è presente in tutti i campi, prati e parchi cittanini. Viene definita infestante per la sua capacità di riprodursi e propagarsi rapidamnete con il risultato di abbellire e addolcire, col tarassaco e il trifoglio, le distese erbose già dai primi tepori primaverili e, nel contempo, dando nutrimento alle api. Fiorisce da febbraio ad ottobre. La pratolina sta bene al sole: all’alba si apre completamente distendendo la raggiera dei propri petali alla prima luce del sole eal tramonto si richiude su se stesse e si prepara per la notte. Se piove si chiude a riccio per proteggersi. Forse è per questo comportamento che gli inglesi la chiamano daisy, forma contratta di day's eye, letteralmente occhio del giorno. Il nome scientifico Bellis Perennis deriva dal latino bellus, grazioso. Oltre che per i filtri d'amore e per il m'ama non m'ama la pratolina ha interessanti proprietà, in erboristeria viene usata, combinata con altre piante per tisane depurative, per lenire la tosse e sciogliere il catarro (chiedete al vostro erborista di fiducia, nel caso). I fiori sono ricchi di vitamina C e andrebbero consumati crudi arricchendo e abbellendo insalate e contorni. Anche cotti vanno benissimo, aggiunte a zuppe o a vellutate, l'importante è raccogliere i fiori di giorno in posti non contaminati e consumarli entro poche ore.
Risotto alle Pratoline (Bellis Perennis)
Ingredienti per 4 persone: 200g tra margheritine e petali, 320g di riso, 1L di brodo vegetale, 1 bicchiere di vino bianco, 3 cucchiai di olio, una cipolla, una noce di burro (facoltativa), 3 cucchiai di parmigiano (facoltativi), sale e pepe q.b
In una pentola capiente, fate imbiondire la cipolla tritata finemente nell’olio, metteteci il riso (magari dopo averlo ben sciacquato e scolato), rimestate, aggiungete il vino bianco e lasciate evaporare, aggiungete il brodo caldo poco alla volta. Verso metà cottura aggiungete le margherite tritate (lasciatene qualcuna intera per la guarnitura) (le margheritine vanno sciacquate delicatamente e asciugate tamponando con un canovaccio) e ultimate la cottura. A fine cottura aggiungere il burro e il parmigiano (in alternativa olio e/o del latte vegetale). Sale e pepe e abbellite il piatto con le margheritine rimaste.
Erbe commestibili una panoramica
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Il pesto di Gabriella
di Gabriella Molli
Dopo aver frequentato un laboratorio del genovese maestro del pesto Giancarlo Marabotti, ho compreso che fare il pesto è un’arte attinta dalle donne arabe che avevano come moto primario della loro vita in cucina la lentezza necessaria a trasformare gli ingredienti vegetali o i semi, in salse o creme. Parla per tutti la salsa di pinoli che abbiamo adottato anche noi in Liguria. Hanno capito subito che il sale strusciato in tondo contribuiva a dare sapore, ma serviva anche a fermare le ossidazioni. Il che era un fatto misterioso e affascinante. E che l’olio, o meglio gli oli vegetali, erano invece il mezzo per addensare, amalgamare, conservare. Potenza dei gesti calibrati e lenti, il pesto, di cui in Liguria non si conosce traccia scritta fino a metà ‘800, ha mille ricette diverse, per grammatura e anche per aggiunte. E oserei dire anche per sfumature di profumo o gusto: solo con i pinoli, con pinoli e noci, solo con noci, solo con basilico, con basilico e maggiorana, con basilico e prezzemolo…………..Il pesto è quindi un’alchimia, dove domina l’aglio. Il pesto senza l’aglio non è pesto. Tuonano in molti che ce ne vuole tanto. Ebbene, io adotto una mia regola, per fare un pesto delicato, che sia in linea con il mio stomaco.
Cosa occorre per due porzioni, fatte rigorosamente con il mortaio!
Uno spicchio di aglio. Per coloro che amano il gusto dominante vanno bene anche quattro agli (adorabile-insuperabile l’aglio di Vessalico, ma chi lo trova; assolutamente vietato l’aglio cinese!).
Togliete subito l’anima, e strusciatene sono una scheggina, un niente, nella parete del mortaio. Dovete subito con pazienza raccoglierlo (è un’impresa) e metterlo su un piattino. L’aglio è un naturale insaporitore, come lo è il sale, e rende molto particolare il composto cremoso. Ci deve essere. Pensate che i fantastici cuochi iberici hanno creato una leggerissima schiuma all’aglio dove l’odore si è dissolto completamente e resta l’essenza profumata. Una delizia.
25-30 g di pinoli rigorosamente di Pisa
20 g di parmigiano reggiano (tre cucchiai; il prediletto è quello di 30 mesi, ma acquistatelo che abbia almeno passato i 18 mesi); sarebbe meglio metterlo nel mortaio a scheggine, ma è più semplice usarlo grattugiato di fresco. Ricordare sempre che il parmigiano grattugiato si ossida e perde nel gusto. Diffidate dei ristoranti che vi fanno trovare sul tavolo la formaggiera.
5-7 grammi di fiore sardo (un bel cucchiaio) che abbia qualche mese di stagionatura: felice chi lo trova di 15 mesi.
cinquanta foglie almeno di basilico di Pra (fogliolina piccola piccola è la sua caratteristica) bell’asciutto e passato con uno scottex: le fogliette, assolutamente senza peduncolo (va pazientemente staccato) devono starsene adagiate molto leggere nel mortaio, guai a schiacciarle. Il gesto in tondo non distruggerà il profumo e il verde. E a proposito di verde, aspettatevi, se il basilico non è di Pra, che il risultato finale sia un pesto di un verde scuro.
2-3 granellini di sale grosso, quello di Mozia è stupendo, quello grigio francese meraviglioso. Fate voi.
40 gr di olio extra vergine di frantoio possibilmente morbido nel gusto; certi oli fruttati delle nostre colline fanno buone le insalate, ma fanno a pugni col basilico. Per un pesto armonico, ci vorrebbe l’olio di olive taggiasche.
Le operazioni
Prima di tutto
Il mortaio è fatto in modo da poter estrarre tutte le sfumature degli ingredienti, quini girare il pestello in tondo, con grazia: mai pestare rudemente; siete a fare delle creme e non dei “pestati”.
Il pesto fatto al mortaio appartiene alla cucina che aiuta l’amore: e come l’amore deve essere fatto lentamente.
Il pestello di legno ha una testa tonda che serve per addolcire e per agevolare la trasformazione in crema: chi vuole prenda pure il frullatore, ma, per favore, non dica di ottenere lo stesso risultato.
Qualche volta si diverta a fare il pesto nei due modi di fronte agli amici e poi faccia la comparazione: è l’unico modo per far capire la differenza.
Ecco il procedimento passo dopo passo:
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partire con l’aglio e fatta una cremina, la si raccolga con il cucchiaino e la si disponga in un piattino
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schiacciare con delicatezza, strusciandoli in tondo, i pinoli, fino a creare una cremina, e metterla sul piattino
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questo è il momento del parmigiano e del sardo: se sono già grattugiati, con il pestello che ha già raccolto i precedenti profumi, girate ugualmente in tondo e amalgamate bene; mettere la crema nel piattino
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adesso riempite il mortaio con le foglioline di basilico, disponendole con grande leggerezza, unendo 2, dico due, chiccolini di sale grosso. Due, perché il terzo lo metterete dentro, se serve, girando sempre in tondo. Decidete si salare ancora, quando assaggerete il pesto. Ad aggiungere si fa presto….e togliere è impossibile…..Girate con leggerezza intorno sempre ruotando il pestello. Pensate a una carezza. Chi pesta è perduto: non solo il basilico si ossida quasi subito (e purtroppo quello della Val di Magra lo fa), ma restano accumuli, non si ottiene la cremosità
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Aggiungiamo ora alla crema di basilico la poca cremina d’aglio del piattino, la poca cremina di pinoli del piattino. E’ il momento di unire il formaggio (parmigiano e sardo). Assaggiare e verificare cosa manca; decidere di mettere ancora un po’ dell’elemento che ci pare sia poco presente. Fare il pesto per coloro che mangeranno la vostra pasta al pesto. Niente eccessi di gusto: ricordare che è l’armonia a rendere il pesto un condimento che fa sognare le papille
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E’ il momento dell’olio: si aggiunge poco alla volta, meglio se goccia a goccia, e si gira con delicatezza usando un cucchiaino, meglio se di legno. Con delicatezza. La salsa-crema è pronta quando è morbida, vellutata e se l’assaggi con la testa, in bocca lascia traccia di tutto ciò che ha incorporato. E ti incanta.
Signori, questo è il mio pesto. Dopo aver frequentato un maestro.
Piatti con il pesto
Trenette al pesto
Trofie al pesto
Spaghettoni al pesto
Tagliatelle quadrotte al pesto
Conchigliette al pesto
Gnocchi al pesto
Panino caldo con pesto e muscoli del golfo
Bruschette calde con il pesto
Pane alle noci con il pesto
Sgabei con il pesto
Panigacci con il pesto
Testaroli con il pesto
Pizza con il pesto e lo stracchino
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Pesto Genovese
Ricetta Ufficiale
Sette sono gli ingredienti della ricetta originale:
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foglie di basilico ligure
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aglio di Vessalico (varietà meno forte e più dolce al palato)
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pinoli nazionali
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Parmigiano Reggiano
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Pecorino stagionato
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olio extravergine di oliva ligure
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sale marino grosso
nel caso si voglia usare il pesto per accomapagnare del pesce bollito si puo' aggiungere maggiorana e timo.
LA PREPARAZIONE DEL PESTO
Indichiamo delle quantità per condire 600 gr di pasta (spaghetti, trenette, bucatini, orecchiette, trofie, maccheroncini), consigliando di usare una pasta rugosa e irregolare, capace di raccogliere e trattenere il condimento. Le quantità indicate possono essere variate per armonizzare al meglio gli ingredienti utilizzati.
2 spicchi d'aglio, sale marino grosso q.b., 50 gr di foglie di basilico, 15 gr di pinoli, 70 gr di parmigiano, 30 gr di pecorino, 100 ml d'olio
Il primo passo consiste nel pulire le foglie del basilico: fatelo con un panno morbido, senza bagnarle. In alternativa, lavatele ma lasciatele asciugare perfettamente: questo passaggio va fatto con delicatezza, perché se le foglie si stropicciano o si spezzano risulteranno annerite e renderanno amaro il sapore del pesto. Utilizzate un mortaio di marmo e un pestello di legno, con i quali ridurrete in poltiglia per primi i due spicchi d’aglio sbucciati e qualche grano di sale.
Aggiungete quindi le foglie di basilico e il sale rimanente, e con movimenti circolari continuate a pestare: vedrete che dal basilico uscirà un liquido verde vivido, è questo il momento di mettere i pinoli.
Infine, continuando a mescolare, aggiungete i formaggi grattugiati e l’olio, a filo, poco alla volta.
Il pesto, oltre che a condire la pasta puo' essere usato per i gnocchi, le lasagne, la focaccia, le piadine, la bruschetta e, come salsa, per accompagnare pesce bollito. Ricordarsi che il pesto non va mai cotto perchè si ossida. (per le lasagne è consigliabile limitare la passata in forno e mitigare l'effetto del calore con la besciamella)
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Una torta che festeggia la primavera
Chi si ricorda la consuetudine lericina della torta di farro del sabato santo? La torta di farro era in uso per celebrare la festa della Madonna di Maralunga (25 marzo), ma praticamente la si faceva fino a Pasqua, in una specie di percorso primaverile che non ci deve tanto stupire.
Ovviamente a Lerici non si produceva farro, ma se si va dentro il piatto, per una analisi della genealogia dei sapori, si scopre quanto torte e religiosità popolare si possano interpretare come sopravvivenza di tradizioni legate a culti primaverili pre-cristiani che hanno a che fare con il risveglio della natura. O più profondamente, a riti di fecondità. Con riferimento a un concetto della natura (e della terra in particolare) come dispensatrice di doni (da Michele Armanini in “Gastronomia e identità del territorio). Ebbene la torta di farro è dunque un “marcatore etnografico”. A Lerici dunque la si faceva proprio in quel tratto di anno in cui la primavera si manifesta. E’ questo ci riconduce a quanto detto sopra. Ma è vista da vicino, nei suoi ingredienti, che viene una conferma netta: oltre al farro, le uova (simbolo di rinascita e di vita). Nel nostro territorio, che fa parte della Lunigiana storica di costa (di concetto medioevale) farro e riso sono semi molto usati nelle ricorrenze sacre della Madonna. Anche la torta di riso dolce infatti fa parte di una tradizione lericina arrivata fino si nostri giorni ed è un peccato che le due torte non possano essere offerte come segno distintivo di territorio nei ristoranti. Perchè no, la torta di riso lericina al posto della crostata della nonna e del tiramisu che niente hanno a che fare con le dolci chiusure di casa nostra?
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Ciupin lericino, ricordando Bena
di Gabriella Molli Giorni fa, un amico mi ha ricordato che stava aspettando da me già da alcune settimane, la ricetta per fare una zuppa di pesce. Mentre la trascrivevo, mi è tornato in mente Bena (Bernardo Colotto), amico carissimo fin dai primi mesi del mio arrivo a Lerici negli anni Sessanta. Da subito ho iniziato a raccogliere ricette, era una fissa e lui sopportava pazientemente le mie passioni per la cucina marinara di Lerici, che stavo scoprendo. E mi aiutava a cercarle, queste ricette. Perchè dico tutto questo? Perchè le cercavo quando ero seduta in attesa di visita dal dottor Colotto. O in piazza sotto il monumento di Garibaldi. Oppure alla Rotonda con accanto la carrozzina dove dormiva mia figlia Maura. Bena mi assecondava in questa ricerca e quando mi incontrava mi diceva subito, con aria complice: à ghe nò una...
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La Cima nella tradizione Lericina
Le memorie gastronomiche “imprestate” di Gabriella
Vivo a Lerici dai primi anni Sessanta, ma mi sento lericina d’adozione e vivo di “memorie imprestate”. Mi piace molto studiare i cibi del territorio di Lerici attraverso i loro ingredienti. E occasionalmente trovare nelle ricette “raccontate”, memorie, passaggi, stili di vita. Ovviamente quindi a Lerici, vista la sua marineria che ha attraversato le acque del mondo (il borgo era collegato con Genova) la cucina gode un forte influsso della tradizione di quella che era considerata la “capitale”. La città per eccellenza.
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