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Registro Nazionale degli Aiuti di Stato

  • Il Registro Nazionale degli Aiuti di Stato è lo strumento nazionale per verificare che gli aiuti pubblici siano concessi nel rispetto delle disposizioni previste dalla normativa comunitaria, al fine di verificare il cumulo dei benefici e, nel caso degli aiuti de minimis, il superamento del massimale di aiuto concedibile previsto dall’Unione Europea.
  • Oltre alle funzioni di controllo, il Registro rafforza e razionalizza le funzioni di pubblicità e trasparenza relativi agli aiuti concessi, in coerenza con le previsioni comunitarie.

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Il fodo di Lerici

 LERICI RIBELLE

Il mio primo ricordo della villa del “Fodo” risale all’infanzia: come tutti i bambini di Lerici, nelle belle domeniche andavo in collina, alla Rocchetta o a Montemarcello. Mio padre, lericino e lavoratore del Muggiano, mi raccontava della tipografia clandestina. Poi ci sono tornato da ragazzo, dopo aver letto il bel libro di Giuseppe Fasoli a essa dedicato (si veda, in questa rubrica,”Giuseppe Fasoli, un comunista, un cristiano, un liberale”, 16 giugno 2013). Ora è una mia meta consueta, in compagnia degli amici della sezione Anpi di Lerici. Sono salito al “Fodo” anche nei giorni scorsi, per celebrare il 25 aprile. C’erano i ragazzi delle scuole, con i loro insegnanti e con le guide naturalistiche del Parco Montemarcello-Magra. Mario Peoni dell’Anpi ha raccontato la storia della tipografia clandestina, avvincente come un romanzo. Qui vennero stampati i volantini dello sciopero del marzo 1944, commemorato il 24 aprile all’Oto Melara dal Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz. La tipografia fu installata nel novembre 1943. La macchina, pesantissima, fu prelevata a Spezia e nascosta in un carro coperto di fieno trainato da un robusto cavallo. Giunta  a destinazione, fu montata all’interno di una cisterna sotterranea nell’aia della villa, in modo tale che non se ne sentisse il rumore durante il funzionamento. Un partigiano stampava, l’altro sorvegliava.


Si può leggere questa storia in un altro bel libro, “Tommaso Lupi, partigiano, artefice della stampa clandestina antifascista” di Aldo Giacché e Antonio Bianchi. Lupi fu colui che costruì la tipografia, insieme ai suoi compagni Argilio Bertella, Alfredo Ghidoni, Armando Isoppo e Anselmo Corsini, forte dell’esperienza del’installazione e direzione di un primo centro stampa clandestino a Lerici già negli anni ’20 e ’30, durante la dittatura fascista. Giacché e Bianchi ci fanno conoscere la vita di un protagonista delle lotte operaie fin dal 1917 quando, sedicenne, lottò per le otto ore nel cantiere del Muggiano. Poi Lupi partecipò, nel 1920, in servizio con il bracciale rosso, all’occupazione delle fabbriche, durante la quale il Muggiano fu proclamato il “Cantiere del Soviet”. Lavorò in seguito in altre piccole aziende e fabbriche, come l’Oto Melara, ma la permanenza al Muggiano ebbe per lui un particolare valore formativo, perché qui poté avvalersi dell’autorità morale e dell’insegnamento politico di Angelo Bacigalupi, il primo deputato operaio socialista della Spezia. Quando fu eletto nel 1919 con il 40% dei voti, in città si formò un grande corteo con le bandiere rosse che lo accompagnò fino a Lerici e poi al suo paese natale della Serra, tra un grande entusiasmo di popolo. Bacigalupi fu poi fatto decadere nel 1921 dal fascismo e costretto all’esilio, dove morì. La prima tipografia clandestina nacque nel 1929, Lupi ne aveva la responsabilità per conto del Partito Comunista: vi si riproduceva l’Unità e vi si stampavano volantini e manifesti, grazie ai quali furono organizzati scioperi e agitazioni allo jutificio Montecatini e all’Oto Melara. L’attività si interruppe con l’arresto di Lupi nel 1933, a causa dell’infiltrazione nel Pci di un agente dell’Ovra, la polizia segreta fascista; il processo, nel 1934, davanti al Tribunale Speciale fascista, lo condannò a sei anni di carcere. Scontata la pena, venne inviato al confino nelle isole Tremiti e poi al carcere di Lucera da dove -dopo l’8 settembre 1943- dovrà ricorrere allo sciopero della fame per essere rimesso in libertà e poter rientrare fortunosamente nella sua città.
Nasceva la Resistenza, e c’era bisogno di una tipografia. Il Pci decise di installarla nella zona di Lerici, in un luogo appartato e nello stesso tempo non lontano dalla città capoluogo: ecco perché fu scelta la villa del “Fodo”, messa a disposizione dal suo proprietario, un liberale antifascista di Carrara. La tipografia lavorò sia per il Pci che per il Comitato di Liberazione Nazionale spezzino e beffò tedeschi e repubblichini per nove mesi, fino al 10 settembre 1944. Con l’Anpi, a volte, saliamo anche per ricordare questa data. Lupi si trovava di guardia e vide entrare una pattuglia tedesca: con sangue freddo diede il segnale a Bertella per interrompere il lavoro, poi si finse guardiano. I tedeschi lo allertarono: l’indomani avrebbero proceduto alla requisizione della villa, per poter approntare una batteria antiaerea sul monte della Rocchetta. Lupi e Bertella trasferirono l’archivio e fuggirono con calma. Si può immaginare la reazione dei tedeschi il mattino successivo, quando scoprirono la tipografia sotterranea!
Lupi dovette mettersi al sicuro, e raggiunse la montagna. Fu nominato dal CLN spezzino Commissario politico della IV Zona operativa, a fianco del Comandante Militare Generale Mario Fontana “Turchi”. E in questo nuovo, importante incarico politico-militare dimostrò tutte le sue capacità, acquisite in anni e anni di lotta e di dure prove come dirigente politico. Durante la terribile battaglia del Gottero del gennaio 1945 lui e Fontana si salvarono per miracolo dai tedeschi, fuggendo nella neve per ore fino a raggiungere, mezzi assiderati, la baita di Federico Salvestri “Richetto”, il comandante della “Centocroci” cattolica. Il 24 aprile Lupi e Fontana erano alla testa delle formazioni partigiane che entravano vittoriose in città. Poi, dopo la Liberazione, Lupi fu il primo Sindaco di Lerici, quindi Vicepresidente e Presidente della Provincia. Altri suoi compagni della tipografia svolsero incarichi amministrativi: Isoppo fu Sindaco di Lerici, Bertella Vicesindaco. Quando, da ragazzo, conobbi Lupi, lui era consigliere comunale a Zignago in Val di Vara. Fu infatti sempre legato alle montagne e alle valli dove aveva combattuto, e organizzò patronati per i “suoi” contadini. Non a caso volle essere sepolto a Campore di Maissana.
Due considerazioni, poi un “riconoscimento” finale. La prima considerazione: ha ragione Giacché quando scrive che “c’è un intreccio forte, nel lericino, come dimostrano personalità come Bacigalupi, Lupi e Isoppo, tra lotta operaia, antifascismo, Resistenza e impegno nel governo democratico”. E un intreccio che ritroviamo in tutta la provincia (si veda, in questa rubrica, “Gli operai e la libertà”, 6 aprile 2014). E’ un tema che ha ben ripreso il Ministro Andrea Orlando intervenendo prima di Schulz all’Oto Melara: lo ha posto anche volgendolo all’oggi, parlando cioè di un ruolo dirigente dei lavoratori e della classe operaia per cambiare e migliorare la nostra società. Giusto: ma la verità è che stiamo andando nella direzione opposta. Oggi assistiamo a una continua riduzione del lavoro, in tutte le sue forme, a una condizione che ne nega la possibilità di realizzazione di sé. E’ la conseguenza della perdita di sovranità della politica rispetto all’economia, cioè della subalternità della sinistra al “pensiero unico” neoliberista e della sua perdita di radici sociali. Lupi e i suoi compagni diedero agli operai e agli sfruttati di allora una soggettività politica, una comunità umana. Oggi gli operai non vengono eletti nemmeno in Consiglio Comunale. E per il Presidente del Consiglio, che pur dimostra, dentro l’impianto neoliberista, una sensibilità sociale, non esistono gli operai e gli sfruttati ma gli “ultimi”, i “poveri”, verso cui i “governanti” hanno dei “doveri”. Altra cosa rispetto ai “diritti” dei “governati”. Tutto scende dall’alto… Ma la sinistra è un’altra cosa, è lotta per i diritti, per il superamento della distinzione tra “governanti” e “governati”, per tornare a dare rappresentanza politica al mondo del lavoro, per riunificarlo, per ridargli identificazione culturale…(rimando, su questo punto, al mio “Ricostruire un nesso tra sinistra e lavoro”, in http://ilblogdimastrogeppetto.blogspot.com). Non c’è  stata continuità ma rottura, tra il Pci e i suoi eredi, sul punto di fondo. Bisognava cambiare radicalmente, ma rimanendo noi stessi sul punto del lavoro. E’ qui che abbiamo perduto.
La seconda considerazione: il Comune di Lerici ha sempre dimostrato gratitudine agli uomini del “Fodo”, intitolando a essi piazze e sale. So che la villa della Rocchetta appartiene a un privato e quindi quanto sia difficile la mia proposta: ma un bene così bello e così pieno di ricordi densi e veri non merita il lento disfacimento, anno dopo anno. Ce l’hanno fatta nel cuneese, recuperando le baite partigiane di Paralup, possiamo provarci anche noi. O un accordo con il privato, o un’acquisizione da parte del pubblico: ma il “Fodo” va salvato, e diventare uno degli snodi di quello straordinario “museo all’aria aperta” da realizzare nelle colline di Lerici, da Portesone a Barbazzano, da Vallestrieri a San Lorenzo. Che dovrebbe diventare un grande “progetto simbolico”, di sviluppo culturale e turistico, della nuova Lerici.
Il “riconoscimento” -ancor di più, l’abbraccio- va alla “bandiera” della sezione Anpi di Lerici: il mio amico Luigi Fiori “Fra Diavolo”, 94 anni. Nato a Sarzana, ufficiale, dopo l’8 settembre salì ai monti nel parmense e diventò comandante della brigata “Vampa”. Ora vive a Pugliola. C’è sempre, non si ferma mai. Gira per scuole, festival, cortei… Pochi come lui sanno spiegare ai ragazzi cos’è stato lo sbandamento dopo l’armistizio, qual è stata la grandezza morale della Resistenza, quanto è bella la nostra Costituzione. Ascoltiamo le sue parole: “Io mi son giocato la vita a vent’anni e non ho ottenuto quello che volevo! Me la sono giocata per la giustizia ma non l’abbiamo! E io non mollo, fino a che non c’è giustizia non mollo! Non ce la farò, morirò con l’amaro in bocca, però ci provo, non mi fermo! Non starò buono, non mi farò mai i cosi miei, mi faccio quelli degli altri. Bisogna lottare, non arrendersi mai! Quando ci facevano i rastrellamenti ci distruggevano. Io ho avuto la brigata tenuta in piedi per cinquantaquattro ore, nel giro di venti secondi siamo rimasti in dodici! Un’imboscata dei tedeschi! Alcuni son tornati, ma gli altri non so se sono scappati, se li hanno presi prigionieri, se sono morti, non si sa più nulla… Siamo rimasti in dodici. Abbiamo detto: ‘E’ finita, basta. Cosa facciamo?’. Dopo quindici giorni  avevo altri cento partigiani e avevo rimesso in piedi la brigata. E questo mi è successo quattro volte! E quindi sono uno che non si arrende perché sa che si può sempre ricominciare. Bisogna essere convinti che ce la possiamo fare!”.
Grazie, “Fra Diavolo”. A te e a tutti gli “ultimi”: perché, per quanto facciate fatica, volete testimoniare e osare ancora la speranza.